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Giornata mondiale dell’Alzheimer

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Giornata mondiale dell’Alzheimer

L’AIUTANTE FAMILIARE

La Giornata mondiale dell’Alzheimer darà l’opportunità di mettere in luce il ruolo dell’aiutante familiare, fondamentale nell’accompagnamento della persona colpita da Alzheimer o che presenti disturbi di ordine cognitivo assimilabili.

 

Fin dall’apertura del Centro di Coordinamento Gerontologico di Monaco (C.C.G.M.), nel 2006, e del Centro Speranza-Albert II, nel 2007, la considerazione attribuita al ruolo dell’aiutante familiare è stata una forte volontà istituzionale. In effetti, nel momento in cui tale patologia colpisce all’interno di una famiglia, essa coinvolge non solo chi si ammala ma anche tutto l'ambiente familiare, in particolar modo il congiunto e/o le persone che vivono a fianco del malato.

  • Chi è l’aiutante familiare?

Il profilo dell’aiutante familiare, sulla base dei dati degli ultimi 17 anni, ci dice che costui è un familiare o un figlio. Si tratta, generalmente, di un marito o di una moglie con più di 40 anni di vita in comune, oppure di un figlio, spesso figlia, tutti molto coinvolti nell'accompagnamento del malato. 

  • La richiesta di aiuto: una tappa spesso tardiva...

La decisione di chiedere un aiuto da parte dell’aiutante deriva spesso da un contesto di sfinimento o di crisi, quando esso si ritrova a far fronte, da solo, a un programma multitasking 24/24 e 7/7. Tale percorso, pertanto, è spesso difficile da affrontare, dal momento che esso pone l’aiutante in una condizione di impossibilità a continuare a prendersi carico del problema da solo, di tenere informato il proprio entourage con le informazioni che talvolta ha tenuto nascoste per preservarlo, o con quelle di cui quest’ultimo non si è ancora reso conto. Si tratta, quindi, di una condizione di sfinimento legittimo di fronte alla gravità di disturbi che generano isolamento sociale (comportamento di agitazione patologica, deambulazione, richiesta sempre più frequente di assistenza negli atti di vita quotidiana...).

  • Che cosa devo aspettarmi?

Il primo incontro si baserà soprattutto sull’ascolto, sul riconoscimento dell’impegno e sulla liberazione dal senso di colpa. Anche se la tentazione dal parte del professionista sarebbe quella di proporre immediatamente un aiuto, la riuscita di un piano di accompagnamento dell’aiutante si baserà, invece, su questo tempo dedicato all’ascolto e sul rispetto del ritmo con cui l’aiutante stesso prenderà tali decisioni, oltre che sul tempo del paziente, sulla base del quale il professionista dovrà adattare il proprio tempo.

In effetti, costruire insieme un piano di aiuti vuol dire lasciare che qualcuno entri nell’intimità della propria coppia, esprimere talvolta impegni reciproci assunti durante un’intera vita; vuol dire, in certi casi, lasciar percepire quali siano le dinamiche familiari, o, infine, accettare la presenza di una patologia la cui diagnosi non è sempre sicura, anche se tale step clinico è l’avanzamento più importante di questi ultimi anni.

L’accompagnamento, quindi, consisterà nel valutare la situazione all’interno del contesto di vita dell’individuo. In queste circostanze così delicate, l’aiutante diverrà un partner a tutti gli effetti del team medico sociale. Talvolta, l’accettazione da parte del paziente della Valutazione Gerontologica Standardizzata, passerà attraverso il superamento di test da parte dell’aiutante, in modo da sdrammatizzare l’incontro.

  • La diagnosi:

Il bilancio sull’autonomia all’interno del contesto di vita, effettuato dal medico del C.C.G.M., permette l’approccio olistico dell’individuo, base dell’approccio gerontologico. L’analisi multidisciplinare di tale bilancio permetterà, soprattutto, di individuare i disturbi sul piano cognitivo. Nel caso in cui tali disturbi dovessero essere accertati, l’orientamento verso il Centro della Memoria della filiera gerontologica permetterà un’indagine specialistica, per stabilire la diagnosi.

  • Il piano di aiuti:

A questo stadio, l’approccio clinico specialistico, completerà quello olistico e permetterà al C.C.G.M. di poter proporre un piano adattato al paziente e al suo entourage. In un’ottica preventiva, sarà proposto il Centro Speranza-Albert II, centro per l’accoglienza terapeutica diurna del Principato, il cui principale obiettivo è quello di permettere il ripristino di un’interazione sociale, grazie alla proposta di un programma di attività terapeutiche non farmacologiche, ma anche quello di concedere uno o due giorni alla settimana di tregua all’aiutante familiare.

  • Aiuti finanziari: La Prestation d’Autonomie (Prestazione di Autonomia):

Queste giornate potranno essere prese in carico dalla Prestazione di Autonomia, sussidio finanziario creato nel 2007 per contribuire alla presa in carico della dipendenza, fattore che può impattare significativamente sul budget familiare.

  • Mai più soli:

L’aiutante familiare si vedrà proporre dal C.C.G.M. dei gruppi di ascolto, in occasione dei quali quest’ultimo potrà incontrare altri aiutanti, interagire con loro e raccogliere informazioni sulla patologia, oltre che consigli sulle tecniche di comunicazione, tra le altre, in modo da poter limitare i disturbi del comportamento patologici.

Gli studi dimostrano il fardello che l’aiutante familiare si ritrova a dover gestire, così come le conseguenze sulla salute psichica dovute a tale ruolo (ansia, depressione...), ma anche sulla salute fisica (malattie cardiovascolari, tumori e impatto sulla propria speranza di vita...). Il riconoscimento sociale e il sostegno che esso potrà percepire, al di là degli aiuti concreti proposti, contribuiranno in sé ad alleggerire tale fardello.

L’informazione e la prevenzione sono oggi gli aspetti migliorabili che il C.C.G.M. intende sviluppare, in modo da facilitare l’accesso agli aiuti da parte dell’aiutante.  La prevenzione e l’interruzione della propria sensazione di isolamento, contribuiranno a un accompagnamento più sereno in questa prova della vita.

 

Philippe MIGLIASSO

C.S.S. Amministratore del C.C.G.M.