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Il burnout | Esaurimento professionale

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Il burnout | Esaurimento professionale

 

Il burnout: cause, sintomi e soluzioni per prevenire l’esaurimento professionale

Redattore: Dott. Davide SCELSA, medico del lavoro presso il Servizio di Medicina del Lavoro (O.M.T)

 

La sindrome da esaurimento professionale (più frequentemente nota come “burnout”) non è tuttora inclusa nella Classificazione internazionale delle malattie (CIM-10 dell’OMS), né all’interno del Manuale dei disturbi mentali (DMS-V). Si tratta di un insieme di segni e sintomi (sindrome) descritti per la prima volta dai professionisti della Sanità negli anni ‘70, in particolare da Christina Maslach, psicologa sociale.

Valutazione e impatto del burnout in ambito professionale

Censire i casi di burnout si avvera quantomeno complesso a causa di una mancanza di definizione consensuale e realmente applicabile, oltre al fatto che esso non è riconosciuto quale patologia alla base di congedi per malattia, in particolare per stato depressivo. L’istituto di vigilanza sanitaria stima che il burnout riguardi circa il 7 % dei 480.000 lavoratori in sofferenza psicologica correlata al lavoro, ossia, un po’ più di 30.000 persone (1). Secondo la relazione dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, il 50/60 % delle giornate lavorative perse all’interno dell’Unione Europea ha un legame con lo stress da lavoro correlato (2). Un’inchiesta condotta congiuntamente dall’INRS, Arts et Métiers ParisTech e dal Gruppo di ricerca sul rischio, l’informazione e la decisione, indica che lo stress da lavoro correlato sarebbe costata nel 2007 almeno tra 1,9 e 3 miliardi di euro (3). Il burnout è un termine di cui si sente parlare spesso, ma talvolta senza che se ne abbia una reale conoscenza.

In quale modo i fattori di rischio psicosociali intaccano il benessere emozionale dei lavoratori?

L’argomento è vasto e complesso e il presente articolo non ha la vocazione di descriverlo in maniera esaustiva, ma bensì di aprire un varco su tale questione. Per semplificare, impiegando un’analogia, potremmo immaginare il burnout come il risultato di un’interazione cronica tra una forza esterna (eccessiva) e una resistenza, l’individuo, che subisce una lenta erosione nel tempo. In tale dinamica è fondamentale considerare la componente “emozionale” del lavoro. Da un lato avremo, dunque, questa forza rappresentata dai fattori di rischio psicosociali, fattori afferenti all’organizzazione del lavoro, alle condizioni di impiego e alle relazioni lavorative. A titolo di esempio, possiamo evocare i conflitti di valori, la mancanza di autonomia, le violenze verbali o il precariato. Dall’altra parte troviamo l’individuo e la propria resilienza. Ogni mattina, ci rechiamo al lavoro con la nostra capacità di adattamento, ma anche con il nostro proprio fardello sulle spalle e il nostro carattere.

Le dimensioni e le manifestazioni di ordine clinico del burnout

Succede, tra l’altro, che i soggetti più esposti a sviluppare tale sindrome siano quelli fortemente implicati in ambito lavorativo, contraddistinti da carattere coscienzioso, ultra organizzato e scrupoloso. La sindrome può essere classicamente descritta sulla base di tre dimensioni: L’esaurimento emozionale: ossia, la sensazione di essere completamente svuotati (fisicamente e mentalmente) in preda alla fatica estrema, non corroborata dal riposo. La disumanizzazione: l’individuo si allontana emozionalmente dal proprio entourage professionale (perdita di empatia), potendo diventare “cinico”. La riduzione della realizzazione personale sul lavoro: ossia, la sensazione di non essere all’altezza, la mancanza di impegno e la perdita della propria identità professionale. Clinicamente, tale sindrome può manifestarsi (non solo) sotto forma di: Paura, tristezza, chiusura in sé stessi, irritabilità, abbinata talvolta ad aggressività e dipendenze (manifestazioni emozionali e comportamentali) Disturbi del sonno, fatica cronica, tensione muscolare, nausea (manifestazioni fisiche) Difficoltà di concentrazione, difficoltà a prendere delle decisioni e a svolgere vari compiti contemporaneamente (manifestazioni cognitive) Il burnout non è una depressione, ma può condurre alla depressione.

In che modo si può intervenire?

Con la prevenzione (in termini di prevenzione primaria) e agendo sui fattori di rischio psicosociali, in modo da ridurre la “forza” esercitata dalla pressione. Sull’individuo, tramite la diagnosi precoce dei segnali di allerta grazie a un attento ascolto. È necessario sottolineare l’importanza della sinergia medico del lavoro/medico curante, oltre che, se necessario, dell’orientamento personalizzato (psichiatrico-psicoterapeutico).

 

  1. Imane Khireddine, Audrey Lemaître, Julie Homère, Julie Plaine, Loïc Garras, Marie-Christine Riol, Madeleine Valenty e il Gruppo MCP 2012, “La souffrance psychique en lien avec le travail chez les salariés actifs en France entre 2007 et 2012”, Bulletin épidémiologique hebdomadaire, 2015
  2. Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, OSH in figures: stress at work - facts and figures, 2009.
  3. Christian Trontin, Marc Lassagne, Stéphanie Boini, Saliha Rinal, “Le coût du stress professionnel en France en 2007”, INRS, 2010.